La memoria come futuro
Circa mille anni fa, esattamente nel 1095, durante il Concilio di Clermont, Papa Urbano ii, al grido di «Dio lo vuole!», indiceva la prima crociata. Lo scopo della spedizione era quello di difendere il Santo Sepolcro e i territori in mano ai bizantini dalla morsa dei turchi selgiuchidi e dagli eserciti moreschi, puntando alla conquista di Gerusalemme. Qualche secolo prima, nel 778, una retroguardia dell’esercito di Carlo Magno, imperatore dei Franchi, che aveva condotto una spedizione punitiva in Spagna, era stata annientata in un’imboscata nel valico dei Pirenei, nei pressi di Roncisvalle. Il drappello di soldati francesi era guidato da un cavaliere di nome Roland. A partire dall’anno Mille, cantori medievali, giullari e menestrelli raccontarono questa storia stravolgendola. Infatti, La Chanson de Roland attribuita a Turoldo, doveva in realtà servire per incoraggiare i giovani di ogni estrazione sociale ad arruolarsi e partire per la prima crociata. Quel semplice capitano della retroguardia di nome Roland viene equiparato dal poeta a un eroe, abile con la spada, votato agli ideali della fede e dell’onore cavalleresco, coraggioso e devoto al suo imperatore al punto di sacrificare la propria vita.
Orlando sente che il suo tempo è compiuto,
Volto alla Spagna sta sopra un poggio aguzzo.
Con una mano il petto s’è battuto:
“Dio, colpa mia verso le tue virtù,
per i peccati, sia grandi che minuti,
che dal momento in cui nacqui ho compiuti
fino a quest’ora che sono qui abbattuto!”
Il guanto destro verso il Signore allunga.
E scendon angeli del cielo incontro a lui.
Canto CLXXIV da la Canzone di Orlando a cura di Mario Bensi traduzione di Renzo Lo Cascio – Biblioteca Universale Rizzoli 1998.
Con Papa Leone iii e l’incoronazione del Re di Francia Carlo Magno a imperatore del Sacro Romano Impero, avvenuta la notte di Natale dell’800, si consumò definitivamente la frattura tra l’Impero d’Occidente e l’impero d’Oriente, ovvero tra il Regno di Costantinopoli e quello di Roma. Seguirono altre crociate: stragi, violenze, lutti e disperazione colpirono pesantemente sia i cristiani, sia i cosiddetti pagani o infedeli. Sulle guerre “sante” ci sarebbe tanto da dire, per quanti danni hanno arrecato all’umanità, tuttavia a me piace ricordare Francesco d’Assisi, che durante la quinta crociata si spinse fino a Damiata, in Egitto, nell’illusione di poter fermare quello scempio. Il cardinale Pelagio Galvan lo considerò un folle, ma Francesco, con il Vangelo in mano, si recò nel campo dei Saraceni per incontrare il sultano Al-Malik al-Kāmil, che invece apprezzò profondamente il coraggio e la grande fede del poverello d’Assisi.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione
Beati quelli che ‘l sosterranno in pace,
ca da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Da Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi
Ma torniamo alla mia storia e al motivo che mi ha spinto a immaginare il nostro viaggio a Roncisvalle.
Nel febbraio del 1967 mio padre fu invitato a Parigi per inaugurare la residenza dell’ambasciatore italiano. Partimmo da Palermo con una piccola compagnia formata da mio padre, il suo migliore aiutante, Giuseppe Arini, ed io. Pupi, scene, cartelloni e tutto quello che serviva per la messa in scena dello spettacolo Orlando amoureux d’Angelica furono sistemati all’interno di casse, valigie, pacchi e pacchetti che riempirono un intero vagone.
Il viaggio fu lungo e faticoso. Il treno si fermava infinite volte senza che nessuno sapesse spiegarne il motivo. Ricordo ancora lo stridio del ferry-boat sulle boe della banchina e il movimento dei vagoni, che facevano avanti e indietro per posizionarsi sui binari. Il “Treno del sole”, che transitava da Roma e arrivava a Torino, era affollatissimo di povera gente che lavorava alla Fiat o che doveva raggiungere le miniere del Belgio. Giunti a Torino le cose cambiarono un po’, i treni per l’estero erano più confortevoli e mi ricordavano quelli che avevo visto al cinema; ma, ahimè, anche stavolta mio padre, per risparmiare, non aveva preso le cuccette e fummo costretti a viaggiare seduti. Quando giungemmo a destinazione e mettemmo piede fuori dalla Gare de Lyon sembravamo tre pulcini spiumati caduti dal nido. Il vento gelido di quel febbraio francese ci colse di sorpresa e improvvisamente non sentimmo più le mani, le labbra, il viso, mentre sul naso, che aveva smesso di gocciolare, si formarono piccole stalattiti.
Alla stazione ci ricevette il professor Alfred Silbermann, coltissimo scenografo e musicologo nato a Berlino Est ma residente a Roma, che insieme al compositore Cesare Brero aveva organizzato l’evento parigino. Dopo aver caricato i numerosi bagagli su un pulmino, Silbermann chiamò il taxi per accompagnarci in albergo dove ci aspettava un agognato pasto caldo. Ma mio padre chiese se, prima di raggiungere l’albergo, potevamo passare un attimo a vedere la statua di Carlo Magno.
Il tassista, non avendo memoria di questo monumento, consultò una guida e, non trovando alcuna notizia, si mise in contatto con la centrale; ma anche da lì nessuno seppe rispondere. Iniziò un botta e risposta radiofonico tra tassisti fino a quando qualcuno disse che forse si trattava della statua collocata davanti a Notre-Dame. Così, finalmente, immersi nella nebbia, sotto le rigogliose fronde degli alberi alla destra della cattedrale, scorgemmo la statua di Carlo Magno a cavallo, con due scudieri ai suoi piedi che tenevano le redini. Il re dei Franchi, rappresentato in tutta la sua imponenza, con la corona sul capo e una piccola croce sulla sommità, barba e capelli fluenti, un mantello sulle spalle e uno scettro nella mano destra che regge il mondo, era finalmente davanti a noi.
Mio padre rimase a lungo immobile, a fissare la statua. Arini, dietro di lui, sembrava imbalsamato, io ero commosso nel vedere mio padre che realizzava il sogno di poter ammirare, dinanzi a sé, le fattezze di Carlo Magno, del quale conosceva ogni impresa, ogni dolore, ogni sospiro.
Poi domandò al professor Silbermann se quel fiume che si intravedeva oltre il muretto fosse la Senna e quando gli venne confermato, si infervorò e cominciò a raccontare dell’assedio di Rodomonte a Parigi e di come il superbo saraceno era riuscito a entrare in città, attraversando la Senna in groppa al suo destriero. Silbermann, a un certo punto, gli fece osservare che si era fatto tardi e che rischiavamo di trovare la cucina del ristorante chiusa, così ci avviammo verso il taxi. Ma mio padre, emozionato come un bambino, domandò se non fosse stato possibile, lungo il tragitto, dare un’occhiata alla chiesa di San Dionigi dove, secondo i canovacci dell’Opera dei Pupi, Carlo Magno si sposò e ricevette la corona. Ma il tassista rispose che la chiesa si trovava distante da Parigi e comunque a quell’ora era sicuramente chiusa. A tavola, durante la cena, mio padre continuò a domandare se prima di ripartire avesse potuto vedere le antiche mura di Parigi, insomma nella sua mente affioravano, uno dopo l’altro, i particolari della vita di Carlo Magno, i luoghi, le situazioni e gli eventi raccontati nel lungo ciclo della Storia dei Paladini di Francia.
Il giorno dopo il professor Silbermann mi confidò che era commosso dall’ingenuità di questo artista, che avendo vissuto tutta la vita circondato da paladini, immaginava di trovare molte testimonianze e, proprio per questo, non aveva voluto deluderlo svelandogli che Carlo Magno a Parigi non solo non c’era mai stato, ma che a quei tempi non esisteva nemmeno Parigi!
Il rapporto di stima e amicizia tra il professor Silbermann che cominciammo a chiamare confidenzialmente Moni e la mia famiglia proseguì ininterrotto per tutta la sua vita. Molte volte ho avuto modo di ricordare questo episodio, che per me ha appresentato una pagina di vita indimenticabile.
In quegli anni ero molto giovane. Un mese dopo, a Parigi, avrei compiuto diciannove anni e non potevo capire fino in fondo l’emozione che provava mio padre in quella città, da sempre evocata nei suoi spettacoli.
I ricordi sono le pagine dove è scritta la nostra vita, a volte arrivano da soli, a volte irrompono come se un colpo di vento avesse aperto un libro su una certa pagina. La rievocazione di questo episodio mi ha riportato ad oggi, alla mia esistenza, alla mia sensibilità di uomo di teatro profondamente appassionato del proprio lavoro e delle storie che racconta. Ho pensato che anch’io avevo tanto desiderato andare a Roncisvalle, per scoprire se fosse esistita veramente e che avrei voluto coinvolgere non solo la mia compagnia, i miei allievi, alcuni amici artisti che mi seguono da sempre nelle mie avventure, ma anche dodici personalità della cultura che ho chiamato “pari”. Tutti insieme ci siamo messi in marcia, come i paladini di Carlo Magno, ma questa volta per una “crociata di pace”. Attraverso il mio cunto siamo diventati tutti protagonisti. Il nostro piccolo esercito di uomini e donne, penetrando la nebbia della Navarra, si è trasformato a poco a poco in una compagnia di paladini. Alcuni rami sono diventati aste per gli stendardi e le bandiere, mentre la spada di legno ricavata dal bastone di un pellegrino, che ho trovato lungo un sentiero, è diventata la penna con la quale riscrivere la storia.
Il cammino verso Roncisvalle parte da Saint-Jean-Pied-de-Port, un paesino di frontiera tra la Francia e la Spagna, un luogo simbolico per molti viaggiatori, sconosciuto ai più, se non fosse che da lì comincia il Cammino per Santiago de Compostela. Un cammino fondamentalmente spirituale.
Per gli storici, quello di Roncisvalle è stato un avvenimento trascurabilissimo, che scompare dinanzi alle mille altre imprese carolingie, eppure quella battaglia è diventata una parte fondamentale della letteratura europea, condivisa da popoli che oggi, nonostante aderiscano ad un unico parlamento, sono più divisi che mai. Un esempio eloquente di come la leggenda, tutte le volte che assume un forte valore simbolico, possa surclassare la verità storica.
Quando sono arrivato per la prima volta in quei luoghi, credo di aver provato la stessa emozione di mio padre a Parigi: ho avuto l’impressione di incrociare i paladini e di sentire l’eco delle loro voci in quel fantastico bosco che si estende fino a Ibañeta, dove ho narrato il tradimento di Gano di Magonza e la morte del paladino Orlando davanti al cippo che ne ricorda la leggenda.
Mimmo Cuticchio
Direttore Artistico
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