Il teatro di via Bara

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Il Teatro di via Bara all’Olivella a Palermo è il cuore e il motore di un passato recente e di un futuro aperto. Dalla sua fondazione – il 18 luglio 1973 – ha sempre suscitato un vasto interesse, sia come testimonianza storica sia come ricerca teatrale, richiamando ininterrottamente il pubblico locale e i visitatori stranieri, tra cui autorevoli studiosi e uomini di teatro, che ne scrivono nei loro ricordi con interesse e meraviglia.

Va sfatato un luogo comune, che da anni condiziona l’immaginario collettivo, secondo il quale il Teatro dei pupi sarebbe una forma di spettacolo destinata, per sua natura, a un pubblico di bambini e di turisti. Nel periodo aureo di questa tradizione il pubblico era composto da habitué, la cui attenzione era focalizzata soprattutto sulla Storia dei paladini di Francia, che Giusto Lodico aveva raccolto dalla viva voce degli opranti e dei cuntisti tra il 1858 e il 1860, pubblicandola in dispense settimanali.

I numerosi episodi della Storia cominciano dal matrimonio di Re Pipino con la principessa Berta d’Ungheria e terminano con la disfatta dei paladini a Roncisvalle e con la morte di Carlo Magno. La Storia veniva rappresentata, una puntata al giorno, per oltre trecento serate. Il teatro era il luogo di ritrovo di un gruppo omogeneo di spettatori (le donne erano escluse), che mai avrebbe approvato spettacoli dove si tralasciasse la parte narrativa a favore degli effetti di scena, ovvero duelli e battaglie con tanto di teste e corpi mozzati.

Durante il secondo dopoguerra l’Opera dei pupi ebbe un crollo. La crisi innescata dalle bombe sconvolse modi di vita, abitudini culturali e mestieri. L’indomani della guerra, il sogno di un lavoro, il desiderio di lasciarsi alle spalle la povertà e le devastazioni, l’emigrazione di interi nuclei familiari, contribuirono alla scomparsa del pubblico tradizionale. L’Opera dei pupi perdette la sua funzione sociale ed etica assumendo progressivamente lo status di un prodotto folcloristico. Il turismo organizzato degli anni Sessanta e Settanta diventò così il nuovo principale referente dei pochi teatrini sopravvissuti alla crisi.

Gli opranti rimasti dovettero adattare il loro corposo repertorio a poche rappresentazioni, che semplificavano l’intreccio narrativo e sfruttavano al massino tutte le risorse sceniche e gli effetti spettacolari. Di riflesso, anche tutte le pratiche artigianali legate al mondo dei pupi, dallo sbalzo delle armature alla realizzazione delle ossature, dalla pittura dei fondali a quella dei cartelloni, si trasformarono profondamente o, nella maggior parte dei casi, si estinsero del tutto. La sparizione del pubblico tradizionale da un lato e l’assenza delle istituzioni dall’altro, portarono, all’inizio degli anni Settanta, alla resa degli ultimi maestri opranti, che orientarono i propri figli verso altre professioni.

L’unico ad assumersi la responsabilità di andare contro corrente, proseguendo il mestiere paterno, fu proprio Mimmo Cuticchio, il quale, coinvolgendo i fratelli più giovani, cominciò a formare un nuovo pubblico, proponendo l’elaborazione di nuovi copioni, che coniugavano le regole della messa in scena tradizionale con il mutare del gusto, senza tradire le radici storiche del repertorio classico.

Nel 1977 egli fonda l’Associazione Figli d’Arte Cuticchio, il cui orizzonte operativo si basa sulla salvaguardia e la diffusione dell’immenso patrimonio immateriale della cultura cavalleresca, al quale si accompagna un patrimonio materiale preziosissimo (pupi, fondali, macchine sceniche, costumi, canovacci, testi), non solo memoria ma vivo laboratorio di creatività e di comunicazione, di ricerca e di tutela di un universo culturale e spirituale di immenso valore.

Gli anni Ottanta e Novanta sono stati anni difficili, ma l’impegno continuo e costante di questo grande artista, ha permesso di irradiare nuova luce, di dare nuova linfa al Teatro dei pupi, tanto da appassionare e coinvolgere non soltanto figli e nipoti di opranti scomparsi ma anche attori, gruppi, artisti, registi, che operano fuori dal contesto tradizionale, i quali, nelle loro produzioni, hanno introdotto sia pure in modo diverso, l’uso del pupo o si sono ispirati alla tecnica vocale del cunto, di cui Mimmo Cuticchio è l’ultimo rappresentante nell’ambito della narrazione epico-cavalleresca. Lo scenario odierno fotografa una grande vivacità, grazie alle esperienze di alcune giovani compagnie che, più o meno efficacemente, portano avanti il loro teatro, mentre Mimmo Cuticchio rimane un punto di riferimento e di stimolo, un pioniere e un paladino della ricerca attuale.